La nascita di Plutarco si può far risalire a poco prima del 50 d.C. Egli trascorse la maggior parte della propria esistenza nella nativa Cheronea, in Beozia, ma compì numerosi viaggi in Grecia, e soggiornò a Roma. Divenne cittadino romano col nomen di Mestrio e gli fu conferita da Traiano la dignità consolare, da Adriano quella di suo ambasciatore in Grecia. L'’'incarico che più ebbe a cuore fu però quello di sacerdote delfico, che detenne per circa un ventennio e che molta influenza ebbe sulla sua spiritualità.
Le sue opere si possono suddividere in due grandi gruppi, le Vite parallele, biografie di 50 uomini illustri e i Moralia, opere più di carattere filosofico, pedagogico e politico, tra le quali ne compaiono anche alcune di stampo scientifico. Il nostro interesse ricade su: Il De facie in orbe lunae.
Sul volto della Luna
Racconta il dialogo tra personaggi sul problema delle macchie lunari, che disegnano nelle Luna le caratteristiche di un possibile volto. Il dialogo discute su cosa sono tali macchie e sulla possibiltà che su un corpo celeste vi possano essere imperfezioni. Il dialogo plutarcheo riporta le diverse teorie che cercavano di spiegare il perché delle chiazze nere su un corpo che sarebbe dovuto essere senza macchie, analizzando le teorie della visione. La discussione sfocia poi in un breve e divertente confronto sulla possibilità che sul nostro satellite ci possa vivere qualcuno.
Quest'ultima congettura appare come la conseguenza eventuale di un'argomentazione di carattere scientifico; ed è verosimile che quest'opera sia stata studiata da Keplero ed utilizzata come spunto per il suo Somnium, geniale invenzione di un mondo organizzato secondo una realtà fisica affatto diversa da quella terrestre, dove è la puntuale consequenzialità dei dati scientifici a suggerire le condizioni della vita.
Le citazioni qui presentate illustrano come la concezione dell'Universo aristotelica non fosse la sola presente nel mondo greco e come alcune ipotesi fossero già alquanto vicine a quelle per così dire "moderne".
Purché, mio caro, tu non ci intenti un processo per empietà come quello che Cleante pretendeva dai Greci contro Aristarco di Samo, che egli accusò di perturbare il focolare dell'universo nel tentativo di salvare i fenomeni con l'ipotesi che il cielo resti immobile mentre la terra percorre un'orbita obliqua rotando al contempo intorno al proprio asse. Noi per parte nostra non formuliamo nessuna teoria. Ma non capisco, mio ottimo amico, perché mai chi ammette che la luna sia terra sovverta il mondo più di quanto facciate voi: giacché voi dal canto vostro lasciate fluttuare nell'aria un corpo come la terra che è di dimensioni ben maggiori rispetto alla luna, la cui grandezza gli astronomi calcolano in occasione delle eclissi sulla base della durata del transito nel cono d'ombra. Eppure la luna è aiutata a non cadere proprio dal suo movimento e dall'impeto della sua rivoluzione, esattamente come al proiettile teso nella fionda la caduta è impedita dal vorticoso moto circolare. Giacché da un lato non si è ancora dimostrato che la terra sia il centro dell'universo, dall'altro la coesione e concentrazione in essa degli oggetti di questa parte del mondo ci fa intendere come sulla luna probabilmente ci siano altri oggetti che su di essa cadendo convergono e lì si arrestano.
Ecco un'altra citazione che precede le ipotesi di Giordano Bruno, che riguardano il concetto di relatività che verrà poi sviluppato da Galilei.
In altre parole: in che senso si può dire che la terra sta nel mezzo, e nel mezzo di che? L'universo è infinito e l'infinito non avendo né inizio né limite non può neppure avere un mezzo, il quale fungerebbe in qualche modo da limite mentre l'infinità è negazione del limite.
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