Con l’avvento di nuovi telescopi sempre più grandi e potenti, nell’Ottocento era opinione diffusa che Luna e pianeti fossero abitati da esseri non molto diversi da noi, i quali dovevano essersi adattati a condizioni ambientali certamente diverse da quelle della Terra. Uno dei massimi sostenitori fu Camille Flammarion, grandissimo divulgatore francese. Sugli abitanti della Luna, a New York, nacque forse la prima delle fake news scientifiche della storia, nota come great lunar hoax (la grande bufala lunare). Il responsabile di tutto è il giornalista Richard Adams Locke – discendente del filosofo inglese John Locke –, il quale sfrutta la sua preparazione per confezionare una storia che parte da una notizia vera. [Testo in inglese su Inernet Archive e un commento in italiano Delle scoperte fatte nella Luna del Dottor Giovanni Herschel].
Sir John Herschel – astronomo e figlio d’arte dello scopritore di Urano, William Herschel – era in Sud Africa allo scopo di mappare le stelle del cielo Sud, poiché i telescopi allora costruiti avevano accesso solo all’emisfero settentrionale. Locke lavora al New York Sun. Sfruttando la difficoltà di comunicazione tra i continenti, l’immaginifico giornalista pubblica, a puntate, una serie di storie assolutamente inventate, basate su spettacolari immagini della Luna ottenute da John Herschel con il potentissimo telescopio situato in Sud Africa. Ne descrive quindi i fiumi, i laghi, i templi, gli animali e persino gli abitanti della Luna. Si tratta di esseri non troppo diversi da noi umani, ma forniti di ali, molto utili nella bassa gravità lunare. Il racconto viene pubblicato a puntate. La gente fa la fila per accaparrarsi le copie del giornale. Dopo sei puntate di scoperte sempre più mirabolanti, il giornalista, che deve porre fine alla storia prima di ricevere qualche imbarazzante smentita, immagina che Herschel abbia dimenticato aperto il telescopio durante il giorno e il Sole lo abbia bruciato, distruggendo la splendida macchina e impedendo di ripetere le osservazioni. Gli articoli attraversarono l’Atlantico e giunsero in Europa, dove vennero tradotti. A Parigi, François Arago ne pubblicò un estratto sul bollettino dell’Accademia delle Scienze, suscitando curiosità e polemiche.
A Napoli, le cose andarono diversamente. La notizia giunse all’orecchio di Pulcinella, che si sentì punto nel vivo. Con una storia che risale al diluvio universale, Pulcinella è un personaggio mitico, che pretende di avere un rapporto particolare con la Luna. Come si permetteva questo sconosciuto astronomo inglese, il cui nome viene napoletanizzato in Ercel, di fare simili rivelazioni sulla Luna? Così, l’immortale Pulcinella, dopo aver ottenuto il permesso dal Re e dal Papa, si prepara ad andare sulla Luna per controllare di persona. La ragione è semplice.
S’io no lo bbevo,s’io non lo ttocco, io no lo ccredo,non mme lo mmocco!
Non ottenendo il sostegno degli astronomi dell’Osservatorio di Capodimonte, per raggiungere la Luna e verificare di persona, Pulcinella, prepara la sua nave spaziale. Proprio di una nave si tratta, con tanto di vela e di soffietto da utilizzare in caso di bonaccia. La nave è anche fornita di ruote dentate per procedere nella giusta direzione seguendo la strada tracciata da due catene che collegano il golfo di Napoli con la Luna.
La stampa del 1836 che immortala la partenza di Pulcinella contiene anche un interessante riquadro intitolato “Ultime scoperte fatte nella Luna”. Si vede una fantasiosa riproduzione del telescopio di Sir John Herschel che guarda gli abitanti della Luna, i quali, a loro volta, hanno messo insieme un telescopio formidabile che scruta la Terra. Abbiamo anche la stampa di Pulcinella di ritorno sulla Terra con la sua barca con le catene arrotolate. Brindando, il nostro eroe dice:
Mirabbilia aggio visto e aggio toccatoErcel le scoperte toje frietelle io cchiù sfunno de te songo arrivato e aggio visto cose strane e belle ’n faccia a sta vela videle pittate.
Ma il rapporto di Napoli con la Luna non si esaurisce qui. Vent’anni dopo la bufala lunare e la risposta di Pulcinella, Ernesto Capocci (direttore dell’Osservatorio di Capodimonte) scrive un libretto intitolato Relazione del primo viaggio alla Luna fatto da una donna l’anno di grazia 2057. Questo racconto precede il romanzo di Verne e lo possiamo quindi considerare, quindi, il precursore napoletano del capolavoro di Verne, anche se poco noto al mondo. In esso la Compagnia della Luna è già stata diverse volte sulla Luna, dove esiste già una colonia umana. La protagonista, dal profetico nome di Urania, è però la prima donna a cimentarsi nell’impresa. La spinta iniziale viene fornita da un enorme cannone, costruito all’interno di un vulcano spento, che spara una palla collegata con l’abitacolo in cui hanno preso posto i viaggiatori. Seguiamo il racconto di Urania:… il cannone nostro era caricato sino alla bocca; la nostra piccola arca di Noè, grande quanto il tuo gabinetto da studio, fornita di grandi lastre di cristallo trasparentissimo, tuttocchè doppie almeno tre pollici che ci lasciavan libera la vista da ogni banda, era compiutamente provvista dell’occorrente, compresi sei uomini che formavan tutto l’equipaggio del nostro bastimento celeste! Le provvigioni da bocca per altro ingombravano poco spazio, poichè questi poveri giovani erano stati eterizzati, col nuovo metodo, e si dovevano risvegliar nella Luna alla fine del viaggio, cioè dopo otto giorni, senza aver più bisogno di cibarsi una sola volta, neanche di aria, ch’era la derrata più importante a trasportarsi. … Ed ecco che si dà fuoco al mortaio, l’enorme palla parte e tosto tirandonesi dietro c’imprime una velocità incredibile. … All’ottavo giorno, noi già eravam fuori della sfera di attrazione preponderante della Terra ed eravamo entrati in quella della Luna, che principiava a tirarci dolcemente a sè con forza sempre più accelerante […] non rimaneva a far altro che la discesa a perpendicolo solo di un 20 mila miglia di altezza; ed io per verità non la credeva una bagattella. Mi rassicurava per altro una singolarità ch’io sentia nel mio essere: il mio corpo avea per intero perduto la gravità. Prima dell’arrivo, l’equipaggio viene svegliato e ci si siede a tavola, a fare una refezione di poche ma scelte ed abbondanti vivande. L’appetito non mancava a nessuno di noi, ma essi sembrava che non avessero affatto dimenticato di avere digiunato per otto giorni. […] Chi potrà ridirti il piacere, la gioia, la maraviglia quando giunti all’altezza di sol dieci miglia, alla vista (a volo di uccello) di questo altro mondo. La mia emozione era al colmo […] ma […] mi avvidi, che il nostro correre era divenuto precipitosissimo […]. dopo una forte scossa, intesi levare un altissimo grido, ed un tuono di acclamazioni allegrissime. Aprî gli occhi, guardai intorno… miracolo!… eravamo salvi! Quella grande baldoria veniva da una quarantina de’ nostri, che ne aveano ivi preceduti negli altri viaggi; era quasi l’intera colonia, che spiava (per l’avviso telegrafico avutone) il nostro arrivo ed era accorsa a recarci soccorso. […] Io mi guardava intorno, io era in un mondo tutto nuovo, era veramente nella Luna, e non credeva ai miei occhi!.